Fondazione Gruppo Credito Valtellinese,
a cura di M.Mojana.
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Guido Lodigiani | Scultore
BAGLIORI Palazzo Besta | Teglio (Sondrio), 2005

Bagliori è una storia d’amore, di cera e di bronzo.

Amore per il corpo dell’amante (la cera) e per quello dell’amata (il bronzo), ma anche e soprattutto di amore appassionato per la scultura come forma (il bronzo) e come emozione (la cera). Ogni esemplare esposto è, infatti, un pezzo unico e un assolo, perché il modello in cera da cui è tratto si scioglie durante la fusione, si perde per sempre e non esiste neppure un gesso preparatorio che ne tenga memoria. Ogni fusione è una sfida, perché racconta con un materiale pesantissimo la gioia vibrante e la leggerezza aerea di due corpi in amore, costruiti attraverso piani scomposti e ricomposti ad arte, quasi a sconfiggere la legge di gravità (“Tutto per me”, 2004).

A Guido Lodigiani piacciono le situazioni estreme o forse si sente più vivo sull’orlo dell’abisso, tra il dentro e il fuori, sul confine di un bisogno detto solo in parte. La sua virtù più forte è quella di stare così sul filo della scultura, dove la realtà appare più sfaccettata e aperta.

Le sue opere hanno una forma aperta, le ali sono stese e i cuori più vicini che mai (Fuori controllo, 2005). Proprio per questo suo stare sul limite di una metaforica frontiera, l’artista vede ciò che agli altri è negato, sente cose che chi sta dentro, beatamente parte del proprio mondo, non arriva neppure a immaginare. Sceglie la fedeltà all’arte, pur non tradendo propriamente l’amore alla sua donna.

Ciò che emerge dalle recenti sculture di Lodigiani è una drammatica ambiguità, in cui il corpo, al contempo mortale e glorioso, simultaneamente esprime e nasconde la persona, rivelando tra questa e il suo corpo un rapporto di identità e di differenza (Parli e ti alzi, 2004). Con la patina rosa, lumeggiata di rosso, oppure d’oro giallo, l’artista dice il corpo della donna, sempre caldo e sempre antico (In Amore, 2004), con la patina azzurra, marezzata di verde con bagliori argentati, suggerisce la natura maschile (Natura, 2003). Negli amplessi scolpiti di Guido Lodigiani non c’è spazio per l’autoritratto, ma soltanto per il corpo dell’altra, che ha sempre un nome preciso (Amanti, 2003).

Il corpo della donna non è soltanto polvere di stelle ma, fondamentalmente, è qualcuno, è la manifestazione, il linguaggio di una persona. È il respiro che porta il pensiero; è il passo che struttura il tempo e lo spazio. È la sua presenza nello spazio non decisa da lei, compreso il dato della necessità, dal freddo al sonno e quindi della “dipendenza”. Essere di carne significa essere limitato, ma essere scultore significa non temere la fisicità, propria e altrui, e amare la materia per ricrearla.

Marina Mojana

In “Bagliori”, catalogo della mostra, Teglio, Palazzo Besta, 2005.


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