a cura di Mons. Valerio Crivelli
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Guido Lodigiani | Scultore
SCULTURE PREZIOSE Opere di Oreficieria
 

L’ANELLO DEL VESCOVO GIUSEPPE TORTI
Nel popolo santo di Dio il ministero del vescovo è testimonianza, servizio e dignità. (…) La consegna dell’anello e del pastorale (legata anche alle vicende medievali delle investiture) sta ad evidenziare il legame sponsale che unisce il vescovo alla Chiesa e, particolarmente, a quella locale. L’anello vescovile è ricordato in Spagna fin dai primi anni del secolo VII. Esso è dato come segno della dignità episcopale e come sigillo per i suoi atti. In questo senso, molto tempo prima, era già noto ad esempio a Sant’Agostino che invia una sua lettera autenticata con l’anello, al coadiutore Vittorino. Nel secolo IX l’uso dell’anello è ormai generale.
L’anello del vescovo emerito di Lugano Giuseppe Torti – ordinato il 10 settembre 1995 con motto episcopale Fides per opera e rimasto in carica sino al 25 gennaio 2004 – è una semplice banda di metallo su cui è indicato il profondo ideale pastorale del vescovo Giuseppe: il desiderio di essere vicino al suo popolo, ad imitazione del vescovo San Martino di Tours, costantemente in viaggio pastorale e alla cui azione voleva ispirare il proprio ministero. La traduzione plastica di questo desiderio è ottenuta dalla stilizzazione di strade che attraversano punti lucenti: le comunità, cellule vive della chiesa particolare e oggetto della sollecitudine pastorale del vescovo. (…

 

LA MEDAGLIA SUL RESTAURO DELLA CAPPELLA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE IN LUGANO
(…) La medaglia di Guido Lodigiani si ispira alle confortatrici parole dell’Apocalisse: «Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (cap. 21, 2). E ancora: «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’lsraele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (cap. 21, 12-14). «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (cap. 21, 3-4).
Maria è l’icona della Chiesa, sua primizia ed immagine, segno di consolazione e di sicura speranza per il popolo di Dio pellegrinante sulla terra. Fin dall’antichità le generazioni dei cristiani hanno proclamata beata la fanciulla di Nazareth divenuta Madre del Signore e l’hanno invocata con fiducia, esperimentandone la materna protezione. La città di Lugano ha invocato per secoli la Vergine Maria con il titolo affettuoso e riconoscente di Madonna delle Grazie.
Ispirandosi all’affresco della cupola della cappella mariana, il recto della medaglia di Lodigiani presenta l’immagine di Maria con il Figlio Gesù. Con gesto di materna accoglienza, la Vergine abbraccia idealmente tutti i fedeli. È circondata da un nimbo di luce, richiamo del cielo che – dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio – si congiunge alla terra. L’immagine di Maria è inserita nella celeste Gerusalemme. Grazie alla maternità di Maria, Dio è diventato l’Emmanuele, Dio-con- noi. Le parole dell’Apocalisse sono diventate realtà.
Sul verso della medaglia, sono stilizzate le due città: quella di Dio, ordinatissima e quella degli uomini, tormentata nel travaglio della storia. La composizione allude alla Gerusalemme celeste – perfettamente quadrata, con le dodici porte – e ricorda che la Vergine delle Grazie è intervenuta nei momenti più belli e in quelli cupi della storia della città del Ceresio. Una presenza sentita, degna di piena riconoscenza. Oltre che ricordo del restauro, la medaglia – documento storico – è segno di speranza e ottimismo cristiani e di continuità nella devozione a Maria.

 

L’ANELLO DEL VESCOVO PIER GIACOMO GRAMPA
(…) L’anello ideato da Guido Lodigiani per il vescovo Pier Giacomo Grampa rappresenta la Chiesa tutta, nella sua meta finale: la celeste Gerusalemme. (…) Nel libro dell’Apocalisse, si legge: « Chi mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni. Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni.
Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo ad essa e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte.

Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli».
L’anello del Vescovo Grampa interpreta questo testo meraviglioso, in tutto il suo splendore simbolico e poetico alla luce dell’ottimismo della salvezza. (…) Luogo di questa vicinanza di Dio con gli uomini è la Chiesa – con tutti i suoi limiti terreni – ma idealizzata nella sua meta definitiva: la città celeste, spalancata all’umanità intera per una vita in pienezza di luce.

 

LA CROCE PETTORALE
La croce è cantata da Venanzio Fortunato come Vexilla regis, il segno del trionfo regale di Cristo. Lo strumento di morte si è trasformato in segno di salvezza per l’umanità intera. Perciò nell’antichità si parlava di crux gloriosa o anche gemmata o fiorita. I vescovi sono usi a portarla come segno del loro ministero e del loro primario compito: essere testimoni della risurrezione.
La croce ha sempre offerto accostamenti interessanti di tipologia biblica e di simbolismo. Assai frequente, è quello dell’albero della vita, con evidente rimando all’Albero della scienza del bene e del male che – segnalato da Dio ai nostri progenitori nel paradiso terrestre – fu ritenuto simbolo della croce di Cristo. Vi richiama in particolare il passo dell’Apocalisse (22, 1-2) nel quale l’Angelo mostra all’Apostolo un fiume d’acqua viva, zampillante dalla sede di Dio e dell’Agnello, presso il quale prospera e fruttifica un albero verdeggiante, che porta – in tutte le stagioni dell’anno e della storia – ai popoli i frutti della redenzione. Un Carmen de Cruce, lo applica alla croce, trionfatrice nel mondo e fonte di vita eterna.
Anche la liturgia la vede prefigurata nel lignum vitae scritturale, dove Cristo crocifisso trionfò sul male e sulla morte (…). L’arte interpretò questa immagine dell’Apocalisse. Soprattutto il ramo trasversale si ornò con rami, fiori, frutti. Una realizzazione particolare celeberrima è il mosaico absidale di San Clemente, a Roma, ove campeggia una croce gemmata, alla cui base si dipartono rami fioriti, scaturisce pure un ruscello, al quale si dissetano due cervi.
Il lavoro di Lodigiani si colloca in modo originale in questa linea tradizionale: la croce si fa preziosa per materiali e forma, il suo braccio trasversale è carico di segni di vita e le pietre dure – ricordi di famiglia cari al vescovo Grampa – dicono lo splendore dei frutti della redenzione. Non mancano i segni del sangue sparso dal Cristo.(…)

 

IL PASTORALE
Il pastorale è noto almeno fin dal VII secolo; nel secolo IX è insegna liturgica diffusa nelle Gallie. Le allegorie medievali interpretano le diverse parti del pastorale come altrettante esortazioni al vescovo per l’esercizio del suo ministero. Questo concetto traspariva ancora dalla formula di consegna nel Pontificale in uso prima della riforma conciliare della liturgia: «Ricevi il bastone dell’ufficio pastorale, sii tenace nel correggere i vizi; sii giudice senza ira; invita i fedeli alla virtù; non esitare ad usare una tranquilla severità».
(…) Nel discorso-programma della sua ordinazione episcopale (25 gennaio
2004) il vescovo Pier Giacomo manifestò il desiderio di ripartire da Gerusalemme per metterci in camino, come il pellegrino misterioso sulla strada di Emmaus. (…) Emmaus è riferimento pasquale: Cristo è il Vivente, è la chiave di interpretazione di tutte le Scritture, è presente nella Chiesa come il Pane della vita. È la risposta a tutti i perché dell’uomo di ogni tempo.
Il lavoro di Lodigiani interpreta tutto questo: nel ricciolo d’argento del pastorale, con alla base foglie segno di vita, sono racchiusi i simboli del Libro di Verità e del Pane, impreziositi da alcune pietre dure care al vescovo Grampa in quanto ricordi di famiglia e dono di amici. L’impugnatura è in cristallo. La simbologia è evidente: il Vescovo è testimone della risurrezione di Cristo e pastore sollecito, avvicina i suoi per annunciare la gioia sempre attuale del Vangelo e per dispensare i doni pasquali del Cristo: i sacramenti della salvezza, illuminati dalla Parola e tutti orientati all’Eucarestia e da essa come riassunti.

Mons. Valerio Crivelli

 

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