a cura di Marina Mojana UNA STORIA D'AMORE Guido Lodigiani | Scultore

«Ritengo che l’artista sia chiamato a mostrare la radice dell’esperienza umana e per questa via a emozionare ancora.»

«Amo la scultura perché è la forma d’arte più fisica e monumentale che conosco. Mi interessa il suo rapporto con l’essere umano, con lo spazio, con la città, con il corpo. Amo anche progettare e fondere i gioielli, sculture mobili e in miniatura, piccoli, certo, ma pur sempre in contatto ton il corpo.»

«Il corpo ha forza, dignità, fantasia e soprattutto non è mai lo stesso».

Molti grandi scultori del Novecento hanno testimoniato, attraverso la loro visione del corpo umano, questa tensione ad andare sotto la superficie, questa domanda di senso e di assoluto. Il francese Auguste Rodin (1840-1917) fino alla morte lavorò nel tentativo, mai condotto a termine, di realizzare una grande allegoria dell’amore e della dannazione attraverso la rappresentazione del nudo; lo svizzero Alberto Giacometti (1901-1966) nel 1956 scoIp‘i nel bronzo un’esile figura di Donna seduta, percepita come l’essenza della condizione umana, fragile e vulnerabile ma anche grandiosa e misteriosa.

Il toscano Marino Marini (1901-1980), Io scultore italiano più amato da Lodigiani, anche se formalmente il meno affine, costruiva uno spazio che non era una gabbia, ma neppure l’infinito, e commentava “l’artista attinge dalla natura, la trasforma spiritualmente e la restituisce nella forma da lui percepita. Questa è Arte”.

Partendo dal suo essere corpo, dalla sua fisicità, che la vita ferisce o mette alla prova, Lodigiani crea una poetica forte, che trasforma l’inquietudine spirituale e l’insofferenza fisica in un segno positivo.

Il suo fare artistico è un’occasione di verità sulla condizione umana, percepibile da tutti, anche inconsciamente. Nella rappresentazione artistica di Lodigiani, il nudo (nude) si è liberato progressivamente del carattere idealizzante della tradizione per divenire naked, carne senza difesa, espressione tangibile del senza-veli, dell’ostensione, del limite materiale.

Comprendere la carne significa comprendere i limiti del corpo, le frontiere brumose che delineano l’esistenza, ma se si vuole recuperare del corpo il senso della sua dignità, della sua integrità, del suo essere-per-la-vita, bisognerà contemplare accanto alle tradizionali categorie estetiche, anche quella del vulnerabile.

Ad essa Lodigiani pare rivolgersi. Per lui il corpo è dunque una chiamata a fare un’arte che abbia la stessa forza e la medesima tenerezza dell’esserci. La stessa sorpresa. Un’arte possibile nella condizione umana, che ci fa percepire il presente come il condividersi di una festa della realtà.

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